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onde gli antichi in Prometeo simboleggiarono il pregio dello Scultore. La quale arte riputarono piena di tanta divinità, che la dissero negli umani petti non altronde accesa che dagli eterni fuochi del cielo: e il formare ad umana effigie l'argilla, il marmo, il bronzo; figurandovi, oltre alle proporzionate membra, i muscoli e le vene, e le attitudini al vero e vivo somiglianti, così che il movimento e la passione vi paia; la giudicarono impresa tanto maggiore delle mortali forze, che senza consiglio e aiuto di Minerva non si potesse tentare. Aggiungevano che la dea, a qualunque de' celesti severissima, così allo scultore domestica si mostrò che, non senza comune invidia e tirannica vendetta di Giove, fu creduto colui vagheggiare le nozze ambite e disperate dagl' immortali. Tanto volevano che si stimasse intima alla Sapienza la Scultura! Questo de' velamenti mistici è bastato al poeta per vestire il filosofico suo concetto intorno all' eccellenza dell' arte, e vostra. Ed avendosi proposto sublime tema, non volle di lancio investire tanta altezza; ma secondo il costume della scuola Socratica, e l'esempio del suo diletto Platone, pianamente salirvi. Ond' egli non altro si mostra che narratore poetico di un ragionamento quasi famigliare da lui avuto con quella gentilissima, che gli è compagna de' pensieri. La quale siccome altre volte gli fu cagione a nobilmente poetare, così operando ella assai lodatamente nel dipingere, poteva dargli naturale occasione a questo parlare. Con lei dunque comincia dall' ammirare lo splendore che recano le arti al mondo; e (come ragionando si suole) ripigliata l'origine di esse, procede poi a discorrere de' tempi che per la scultura maggiormente s' illustrarono. Così dalla maestà di Fidia passando alla grazia di Pracsítele, e quindi alla magnifica eleganza di Lisippo, contempla in poco più di cento anni l'arte salita al sommo. Nè cura fermarsi ne' cinque secoli, che succedettero dal regnare di Alessandro Macedone all' impero degli Antonini: perocchè sebbene in quelli si mantenne quasi incorrotta la scuola; o non seppe, o forse non ebbe, l'arte che aggiungere a sè medesima. Con pari silenzio quattordici oscuri secoli dell' arte, pressochè morta e

tardi rinascente, travalica; per giugnere a Michelangelo, severo e tremendo spirito; più presto dissimile che disuguale agli antichi: non avess' egli sdegnato di entrare nella via di quelli; che ora sarebbe lodato di buon giudizio, com'è ammirato per l' impeto dell' ingegno arditissimo e quasi soverchiante; avrebbe fondato una scuola di virtù e di fama durevole; non avrebbe aperto la strada ad infinite licenze d'ingegni tanto meno robusti e più temerari. Perciò dopo il Bonarroti non ha il poeta chi lo ritenga discendendo a questa presente età; la quale sarà famosa per voi. Non vi nominò, perchè il vostro nome è quello dell' arte. E chi subito non l'intende? chi presumerebbe di poter venire in luogo del Canova? Chi può dire, non che altrui a sè stesso, io sono l'eccellente scultore? io quest' arte ho, dopo mille seicento anni, rinnovata? io l' ho ricondotta all' osservanza del miglior naturale, e di quella imitazione giudiziosissima che ne insegnarono i Greci? Chi dopo que' maestri ha saputo così bene congiungere forza e gentilezza? in che sta propriamente di tutte le cose umane la perfezione.

Oh se avessero oggidì anche le arti della parola un Canova, in cui mirando si riformassero! Non è oggi chi sopportasse a vedere nelle statue quelle forme ignobili, que' panni o duri o svolazzanti, quelle attitudini convulse, quelle passioni o forzate o inverisimili o indecenti, che già piacevano; e non è oggi alcuno che si desiderasse con quelle opere l'ingegno neppure del Bernini. Tanta mutazione avete potuto Voi! Ma il secolo da voi rifatto di giudizio, e, a così dire, di occhi nell'arte vostra, qual gusto generalmente abbia di prose e di poesie, meglio è tacere. Che se mai l'Italia giugnerà ad intendere e a conseguire una perfetta forma di scrivere; rinnovando la purissima dizione del suo Trecento, piena di graziosa ed efficace proprietà; e collegandola colla semplicità nobilissima dello stile greco ; a voi principalmente ne daranno lode l'età future: poichè ci avete mostrato con esempio chiarissimo, che la figura del vero bello è unica ed eterna; alla quale è pur necessario che le arti, se non vogliono perire affatto, ritornino: e che siccome una sola è la via che le conduce alla gloria, così è

certissimo il successo, e la fama infinita, a chi procura di ritrarle dagli errori al vero. Ma quantunque da questa desiderabile perfezione sieno per avventura lontani coll' effetto anche i migliori, la moltitudine poi non abbia pure intendimento a desiderarla; vedrete questi tre poeti aver saputo, doversi con petto e con labbro quanto meglio si possa Italiano parlare di voi. I quali per altro se ai versi bramano grazia e vita fra gli uomini, assai più che dallo studio loro se ne promettono dal nome di Canova.

ORAZIONE

PER LA MILIZIA CIVILE DI BOLOGNA.

XIX NOVEMBRE MDCCCIX.

AVVERTIMENTO.

Fu lodevole pensiero del signor barone Prefetto Francesco Mosca, e del signor Podestà di Bo'ogna, di non lasciare senza soccorso le famiglie di quegli individui della Milizia Civile, i quali combattendo contro i briganti perderono la vita, o sof frirono gravi danni nel'a persona o nelle sostanze. Vennero invitate le principali Signore della città di andare per le parrocchie raccogliendo danari: e alla somma raccolta ne aggiunse altrettanta il signor Prefetto. Fu poi pensato che la distribuzione di questi sussidii (da compartirsi, in proporzione de' meriti e de' bisogni, fra trentatre soggetti) si facesse con una celebrità, che onorasse il nome dei defunti; porgesse consɔlazione ai loro parenti, e rendesse qualche sollievo a'la città rattri stata per questa lunga e grave calamità pubblica. A tal fine si elesse il giorno 19 novembre; nel quale con solenni feste si celebrarono le vittorie di S. M. I. e R., e la pace coll'Austria. La mattina, dopo che le Autorità civili e militari uscirono da! maggior tempio della città; dove con divini uffizi s'era festeggiata la pace; passarono ad una grande sa'a del Palazzo di Governo; e ivi solennemente dal signor commendatore Prefetto fu fatta la distribuzione. Innanzi alla quale il primo Segretario della Municipalità invitò Pietro Giordani a fure un discorso conveniente alla circostanza: E fu il seguente.

ORAZIONE.

E io di buon cuore seconderò l'invito; e dirò alcune parole, quanto potrò convenienti alla dignità di questo giorno. nel quale si vuol rendere l'onore debito al nome de' buoni e forti giovani, che non dubitarono di donare alla patria la vita; e si vogliono consolare le famiglie, afflitte per avere più patito del comune pericolo; e questa valorosa milizia cittadina si vuole, con illustre esempio di virtù e di pubblico premio, confermare nell' amore alla patria.

Giustissimo e prudente consiglio de' Capi di essa. Perchè trapassare con silenzio i fatti egregi e dar vista di non curarli, non si converrebbe a bene ordinate città: le quali invano mostrano a' tristi lo spavento de' supplizi e della infamia se la debita lode non aggiunge animo a' buoni. E come domandava pietà e conforto il caso miserabile dei genitori e de' fratelli dolenti; così richiedeva onore insolito l'invitta costanza degli estinti. Chè sarebbe di cuore ingrato, e di torto giudicio, compiangere quasi inutile il sacrifizio che fecero di sè; e giudicare che non molto ne acquisti il Comune, perchè non sono ancora sterminate le forze, nè spenti gli scellerati consigli della guerra, che alle case, alle sostanze, alle persone de' cittadini hanno dichiarata i furiosi ladroni. Primieramente non è da stimar poco averli spersi e scoraggiati e confusi; intanto che si possano con minore pericolo aspettare gli aiuti che il Principe, non più occupato nella guerra esterna, manderà senza dubbio a liberare da tanta molestia i suoi fedeli sudditi. Moltissimo poi, chi ben considera, è nell' esempio: perchè l' intrepida fine di que' pochi ha provato a' briganti, che noi non siamo

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